GDPR, un anno dopo: lo standard per il trattamento dei dati personali ha fatto il giro del mondo
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Il General Data Protection Regulation è diventato lo standard adottato da Paesi che costituiscono il 42% del Pil mondiale e il 34% degli scambi globali.
Siamo già al primo anniversario dell’operatività del General Data Protection Regulation (GDPR) che ha interessato e interessa tutte le aziende che trattano dati personali di cittadini dell’Unione Europea. I due anni che hanno preceduto l’entrata in vigore del GDPR, nel 2018, hanno visto una corsa senza precedenti da parte delle aziende, le quali hanno esaminato e modificato le proprie pratiche per cercare di conformarsi al GDPR ed evitare così una potenziale ammenda fino al 4% dei propri ricavi globali.
Nel corso degli ultimi 12 mesi, dalla corsa iniziale si è passati ad un ritmo di adeguamento più cauto, man mano che le autorità di regolamentazione sviluppavano il processo di revisione delle centinaia di migliaia di denunce di violazione già presentate. Sta di fatto che il modello del GDPR ha fatto il giro del mondo, divenendo lo standard “adottato da Paesi che costituiscono il 42% del Pil mondiale e il 34% degli scambi globali”, come riportato di recente dal segretario generale della Commissione Juncker.
Per quanto riguarda il panorama italiano il Garante ha optato per un regime morbido che è terminato proprio nel mese di maggio: una specie di periodo di prova che ha lasciato un po’ di tempo a molti, soprattutto piccole e medie imprese, per capire come adattare il testo della norma alle operazioni aziendali di tutti i giorni.
Ogni organizzazione ha, quindi, il compito di stabilire non solo i limiti entro i quali dipendenti e collaboratori hanno diritto di accedere ai dati personali sulla base delle mansioni loro assegnate ma anche il dovere di garantire all’intero personale una formazione costante e aggiornata. Il GDPR sancisce, infatti, l’obbligo della formazione per tutti i lavoratori e collaboratori di Imprese e PA che trattano dati personali di persone fisiche.
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