Le criticità del salario minimo legale: ecco la posizione di Confindustria

(L’articolo integrale è disponibile su Bus Magazine 2/2019)

Il Governo punta a introdurre una misura per regolamentare le retribuzioni, ovvero la paga minima che ogni lavoratore dovrebbe ricevere: si chiama salario minimo legale e presto potrebbe concretizzarsi anche in Italia.
Dopo la partenza ufficiale del reddito di cittadinanza, il M5S con il ddl A.S. n. 658/2018 ha dato impulso alla discussione parlamentare per introdurre anche nel nostro Paese il salario minimo. Analogo ddl è stato recentemente presentato anche dal Partito Democratico con A.S. n. 310/2018.

In altri Paesi europei, il salario minimo legale è previsto da anni. A luglio 2017, 22 stati dell’Ue (su 28) avevano una paga oraria minima nazionale. In testa c’è il Lussemburgo (con retribuzione minima di quasi 2mila euro), in coda la Bulgaria (con 235 euro mensili). Ne sono rimasti fuori, invece, Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia, Svezia e, appunto, Italia. Oggi è il nostro Governo a porlo tra le priorità.
Con il termine salario minimo legale si intende la paga minima che ogni lavoratore dovrebbe ricevere, all’ora, al giorno, al mese. Si tratta di una misura che il Governo punta a introdurre per regolamentare le retribuzioni e inserire in ogni contratto di lavoro delle fasce sotto le quali non scendere mai. Il “salario minimo orario” non dovrebbe essere inferiore ai 9 euro all’ora.
Il salario minimo legale spetterebbe ai lavoratori subordinati e a quelli parasubordinati, ossia tutti quei lavoratori le cui prestazioni si avvicinano in parte al lavoro subordinato e in parte a quello autonomo, come per esempio i lavoratori a progetto, i collaboratori continuativi e quelli occasionali.
La paga minima fissa riguarderebbe i dipendenti privati, ma, indirettamente, anche coloro che, nel pubblico, sottostanno ad un contratto collettivo nazionale: la retribuzione minima fissata – in caso di istituzione di un salario minimo legale – non potrà essere inferiore a quella prevista dalla legge.
Il legislatore, quindi, con la finalità di tutelare ogni forma di lavoro, introdurrebbe un salario minimo “universale”, che non tiene specificamente conto del sistema della contrattazione collettiva vigente, e il cui rispetto da parte del datore di lavoro assolverebbe agli obblighi fondamentali che derivano dalla Costituzione e dal sistema delle leggi a tutela del lavoro.

È del tutto evidente come una scelta di tal genere ben potrebbe ingenerare nelle imprese la tentazione di “liberarsi” dal complesso di obblighi che derivano dal rispetto dei contratti collettivi, a favore di una regolamentazione unilaterale del rapporto di lavoro che troverebbe, però, nel rispetto del salario minimo, la sua tutela fondamentale. Si tratta del cosiddetto fenomeno della “fuga” dal contratto collettivo che si sta registrando, già da tempo, in vari paesi europei che hanno adottato il sistema del salario minimo legale, pur in presenza di una consolidata tradizione di contrattazione collettiva. È opportuno, infatti, sottolineare che il perimetro delle garanzie e delle tutele offerte al lavoratore dai CCNL è ben più esteso del mero trattamento economico minimo.

Una scelta di tal genere, in ogni caso, comporterebbe di affrontare e risolvere non indifferenti problemi tecnici, ad esempio, in ordine all’individuazione della giusta misura di un salario minimo legale e, in questo senso, i ddl citati in premessa non contengono precise disposizioni. A mero titolo di cronaca, l’applicazione dei ccnl degli autoferrotranvieri e del noleggio autobus con conducente, entrambi stipulati dall’ANAV insieme alle Organizzazioni sindacali dei trasporti, comporta una retribuzione oraria proprio intorno ai 9 euro, considerando i ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità.


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